COME VIENE MISURATO IL MERCATO DEL LAVORO

 

L'atipicità del mercato del lavoro 

E' improprio parlare di "vendita" e di "acquisto" della forza-lavoro. In una normale transazione, ad esempio quando compriamo un libro, il prodotto passa immediatamente e integralmente dal venditore (il negoziante) all'acquirente (noi). Invece un individuo che cede ad altri la propria forza-lavoro non si "vende" totalmente: egli si limita a sottoscrivere un impegno, che successivamente dovrà onorare. 

ln ogni caso, anche considerando la forza-lavoro come una merce alienabile al pari delle altre, la sua compravendita resta atipica. In primo luogo, infatti, la legge di Say almeno nella sua interpretazione più rigorosa, prevede che, per raggiungere l'assestamento tra l'offerta e la domanda di una determinata merce, vale a dire tra la produzione e il consumo effettivo di essa, il suo prezzo di vendita oscilli, senza limiti di tempo né di importo, al di sopra o al di sotto del suo costo di produzione. Nel caso del lavoro l'oscillazione del prezzo incontra limiti ben precisi: per quanto costretto a vendere la propria attività lavorativa, infatti, un essere umano non può cederla in cambio di una retribuzione inferiore a quella indispensabile per sopravvivere, perché, se lo facesse, giungerebbe ben presto al punto di non essere più in grado di erogare alcun tipo di lavoro. E, allo stesso modo, non può confidare in un rialzo sistematico del salario, poiché questa possibilità è frenata, anche nelle fasi più favorevoli ai venditori di forza-lavoro, da una possibilità pressoché illimitata di reperire nuova manodopera. È la cosiddetta legge bronzea dei salari, formulata da Ferdinand Lassalle, ma già presente nei testi degli economisti classici, come Thomas Malthus e David Ricardo.
Nel complesso essendo limitata la possibilità di oscillazione del prezzo della merce-lavoro (verso l'alto come verso il basso), è altrettanto ridotta la sua capacità di modificare le tendenze della domanda, ovvero, detto in altre parole, la richiesta di lavoro da parte delle imprese.
Secondariamente, mentre l'acquisto di un prodotto da parte del consumatore può essere effettivamente influenzato dal suo prezzo, con la merce-lavoro la faccenda è più complicata: un'impresa assume nuovi lavoratori non per "consumo" privato, ma perché, prevedendo di poter incrementare la vendita dei suoi prodotti, intende aumentarne la produzione; e parallelamente non assume, o peggio ancora licenzia, quando le vendite calano e non si' intravedono possibilità di miglioramento a breve o medio termine. In questi casi, anche un eventuale "sconto" sul prezzo del lavoro sembra poter servire a ben poco: cioè, se ci sono molti operai disposti a lavorare anche a salari più bassi, non per questo le assunzioni aumenteranno, perché l'operaio, pagato poco o tanto, avrà comunque prodotto una merce destinata a rimanere invenduta e ad aggravare le perdite in bilancio. 
L'abbassamento del prezzo non garantisce al lavoro il suo effettivo smercio: il mercato del lavoro si presenta pertanto anomalo rispetto a tutti gli altri.


Come si "misura" il mercato del lavoro ?

La complessità e la variabilità del mercato del lavoro impongono a chiunque si accinga a descriverne le caratteristiche principali di munirsi di criteri quantitativi, cioè di "indicatori" che permettano di rilevare come si distribuisce il lavoro all'interno di una società, attuando anche i necessari confronti nello spazio e nel tempo.
Il primo indicatore di cui si deve tener conto è rappresentato dalla popolazione in età lavorativa, cioè dalla popolazione di età compresa tra la minima e la massima prevista per far parte del mondo del lavoro.
Per popolazione attiva, o forza-lavoro, si intende quella parte della popolazione in età lavorativa e effettivamente lavora o cerca lavoro, in quanto oggettivamente in grado di svolgere un'attività e soggettivamente disponibile a farlo.
All'interno della popolazione attiva possiamo isolare l'insieme degli "occupati", cioè delle persone che, in un determinato periodo, sono effettivamente in possesso di un lavoro.
I dati così ottenuti possono quindi essere messi variamente a confronto, dando luogo ad altri importanti indicatori:

 1. il tasso di attività, che designa il rapporto percentuale tra la popolazione attiva e la popolazione in età lavorativa; 

 2. il tasso di occupazione, costituito dal rapporto tra il numero degli effettivi occupati e la popolazione in età lavorativa; 

3. il tasso di disoccupazione, di cui tanto spesso sentiamo parlare, che indica il rapporto tra il numero dei disoccupati e il complesso della popolazione attiva.

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