WELFARE STATE


Origini e principi 

Nella seconda metà del XX secolo, gli Stati europei sconvolti dalla guerra e dall'esperienza totalitaria ritornarono alla legalità e alla democrazia. In questo contesto storico si affermò un nuovo modello di rapporto tra Stato e società, efficacemente indicato dall'espressione Stato sociale (o Welfare State, letteralmente "Stato del benessere"), che rappresentò una tappa significativa del processo di integrazione tra Stato e società. Il Welfare State è lo Stato che non abbandona il cittadino, ma lo assiste in ogni momento della sua esistenza, fornendogli gratuitamente una serie di servizi essenziali (formativi, sanitari e assistenziali di vario tipo) a cui un tempo provvedevano le famiglie e le associazioni caritatevoli o solidaristiche.

Storicamente il Welfare State fu messo a punto per la prima volta dal governo laburista britannico tra il 1945 e il 1950 con l'attuazione del servizio sanitario nazionale gratuito.  Successivamente diffuse in altri Stati europei, tra cui l'Italia, attraverso una serie di importanti riforme sociali realizzate negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, di cui citiamo le più importanti: nazionalizzazione dell'industria elettrica ( 1962); innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni e scuola media unificata (1962); riforma del diritto di famiglia (1975); legge sull'equo canone di affitto (1978); creazione del sistema sanitario nazionale ( 1978). ln termini generali e di principio, l’obiettivo del welfare State, specialmente europeo, è quello di garantire l'uguaglianza sociale in contesti economici di libero mercato, rompendo con tabù del liberalismo classico: il divieto per lo Stato di intervenire nelle dinamiche spontanee della domanda e dell'offerta di beni e servizi. 


E quindi evidente che si tratta di un obiettivo di non facile raggiungimento, in quanto ogni intervento che tenda a difendere la libertà di iniziativa economica rischia di alimentare la disuguaglianza (ad esempio, agevolare un imprenditore nell'apertura di una nuova azienda può comportare la diminuzione delle tutele per chi vi lavorerà), così come ogni intervento che miri a ridurre la disuguaglianza rischia di limitare la libertà personale (per riprendere l'esempio precedente, per tutelare le condizioni di lavoro e gli stipendi dei dipendenti di una nuova azienda si rischia di scoraggiare l'imprenditore che intenda avviare una nuova attività). Allo scopo di trovare un giusto equilibrio tra i due poli della libera iniziativa economia e  dell'uguaglianza tra i cittadini, il Welfare State individua e tutela i cosiddetti diritti sociali, come il diritto all'istruzione, alla casa, alla salute, all'integrità fisica sul posto di lavoro. Rispetto ai diritti civili e politici, i diritti sociali comportano dunque un intervento diretto dello Stato, il quale attraverso il prelievo fiscale ridistribuisce la ricchezza del paese a favore dei ceti più deboli, erogando servizi di vario tipo (scolastici, sanitari,  pensionistici ecc. Utilizzando la contrapposizione tra libertà negativa e positiva tematizzata dal filosofo politico inglese Isaiah Berlin (1909-1997) e dal politologo italiano Norberto Bobbio ( 1909-2004), possiamo affermare che:
  • lo Stato liberale, tutelando i diritti civili garantisce la libertà negativa (o libertà "da"), cioè quella forma di libertà a cui ci appelliamo quando chiediamo di non essere ostacolati, nell'esercizio delle nostre facoltà di individui liberi, da interferenze dello stato o di altri cittadini; 
  • lo Stato sociale riconoscendo i diritti sociali, promuove invece la libertà positiva (o libertà "di"), la quale può essere considerata una richiesta di aiuto rivolta allo Stato dai  cittadini meno fortunati, al fine di soddisfare i loro bisogni, come quello di istruirsi, di curarsi, di avere una casa, di ottenere un'equa retribuzione per il lavoro svolto ecc. 


Pro e contro

II Welfare State ha indubbiamente prodotto, nel corso degli anni, grandi risultati: 

  • dall'allungamento della durata media della vita dei cittadini (favorito dalle migliori condizioni di esistenza) 
  • maggiori garanzie di libero accesso agli studi per tutti (senza distinzioni di classe sociale), 
  • maggiore tutela dei diritti dei lavoratori (si pensi, ad esempio, al sistema pensionistico) e in particolare, delle lavoratrici (si pensi ai congedi per maternità). 
Non c'è stato ambito della vita pubblica e privata che non abbia beneficiato delle risorse destinate dallo Stato per una serie di servizi alle persone che erano pressoché ignoti fino a 60 anni fa. Meno palpabile, ma non per questo di minore importanza, è l'effetto indotto dal Welfare State sulle aspettative dei cittadini, che, consci del miglioramento delle loro condizioni di vita rispetto a quelle delle generazioni precedenti, sono stati incoraggiati a sperare soprattutto a progettare, un futuro ancora migliore per i loro figli.


Tuttavia, se in linea teorica il Welfare State appare come il sistema politico migliore possibile, nei fatti lo sviluppo  richiede modifiche profonde nel modello statuale che implicano qualche disfunzione sul piano politico e su quello organizzativo. Sul piano politico, il Welfare State-può mettere in difficoltà il parlamento impegnandolo in discussioni senza fine ed esponendolo alle pressioni di gruppi organizzati influenti che tutelano i propri interessi. Infatti, ogni volta che si decide di erogare un servizio gratuito in favore di una certa categoria di persone (ad esempio, gli anziani, o i malati psichici), ci si trova ad affrontare le richieste di chiarimento o addirittura l'opposizione di quei parlamentari che sostengono gli interessi di altri gruppi, i quali avendoli votati, si attendono da loro provvedimenti in proprio favore; senza contare poi la pressione di sindacati, associazioni di categoria, gruppi di volontariato, organi di stampa, che invitano governo e parlamento a mettere in agenda la soluzione di particolari problemi sociali a loro avviso trascurati. Tutto questo avviene perché la tutela dei diritti sociali non riguarda tutti i cittadini. Indistintamente (come avviene nel caso dei diritti civili), ma impone delle scelte a favore delle situazioni giudicate più urgenti.
Sul piano organizzativo, il Welfare State è caratterizzato dall'espansione della macchina statale e dall'aumento dei suoi dipendenti, sia di quelli impegnati a prestare direttamente un servizio(medici, infermieri, insegnanti), sia di quelli preposti a garantire la legittima fruizione dei servizi stessi (personale amministrativo e burocratico). Negli ultimi decenni il pubblico ha costituito un'occasione di elevazione sociale e una garanzia di stabilità professionale: non-stupisce dunque che tendenzialmente la domanda di lavoro nell’ambito dei servizi pubblici superi l’offerta, al punto che la creazione di nuovi posti e stata talvolta finalizzata più ad assecondare le aspirazioni professionali di potenziali elettori che a rispondere agli effettivi bisogni dei cittadini.


Declino e riorganizzazione del Welfare State

I problemi appena ricordati hanno purtroppo contribuito, negli anni Settanta secolo scorso, all'avvento di un periodo di crisi e di declino del Welfare State e all'avvio un difficile processo di riorganizzazione della complessa trama di rapporti tra di stato e società, ovvero tra pubblico e privato.

La crisi ha ragioni sia interne alla forma dello Stato sociale sia esterne:

  1. tra le cause interne, accanto alle disfunzioni organizzative  va segnalata la tendenza della società civile sia a moltiplicare le richieste di tutela,  sia a manifestare la sua insoddisfazione per un servizio giudicato inadeguato sufficiente, oltre che massificante e omologante. D'altronde, il forte incremento dei  servizi-comporta quasi necessariamente un effettivo malfunzionamento del sistema sia per quanto riguarda la distinzione tra le esigenze, sia per quel che concerne la pestività della risposta ai bisogni del cittadino;
  2. tra le cause esterne, invece, va ricordata la congiuntura economica internazionale, che, proprio egli anni Settanta del Novecento  a cominciato a mostrare forti segnali di crisi avviando  una prolungata fase di "stagflazione", ovvero di stagnazione dei consumi e di inflazione monetaria.  

Alla crisi del Welfare State i governi hanno prevalentemente risposto con politiche di restrizione della spesa pubblica, da un lato con la privatizzazione di alcuni servizi importanti (come i trasporti o l'erogazione dell'energia elettrica), dall'altro operando dei tagli di spesa sul sistema del pubblici impiego sulla scuola e sulla sanità.  Il principio regolativo del nuovo sistema è quello della sussidiarietà; in base al quale lo Stato non si fa più carico dei servizi in maniera indiscriminata, ma interviene con l'erogazione di sussidi solo quando e laddove la società (ovvero-i cittadini) non sia in grado  di soddisfare da sé i propri bisogni. Conseguente a tale concezione è l'idea (da più parti sostenuta e cara, ad esempio, alla dottrina sociale della Chiesa cattolica) che il ruolo puramente "sussidiario" dello Stato sia quello più adeguato per consentire ai diversi soggetti della società civile - individui' ma anche gruppi, associazioni ecc. — di perseguire liberamente le proprie finalità. valorizzando al meglio l'iniziativa, la creatività e la responsabilità personali.

Per esprimere questo concetto si parla talora di passaggio dal Welfare State alla Welfare Society (o Community): non un'erogazione di servizi da parte della struttura pubblica ma una rete di supporto ai bisogni che coinvolga più soggetti sociali (enti, associazioni' volontariato, privati cittadini ecc.) nei confronti dei quali lo Stato può svolgere un'opera di coordinamento.


Politiche familiari

Una questione di rilievo, che è emersa con una certa frequenza soprattutto nel dibattito politico del nostro paese, è quella degli interventi del Welfare State nei confronti della famiglia, intesa come soggetto sociale specifico e destinatario di un'attenzione particolare. A giustificare la centralità di una tale questione concorrono diversi fattori. Innanzitutto, nel nostro paese è la stessa Costituzione a dare alla famiglia una centralità particolare, riconoscendola portatrice di autonomi diritti (purché sia sancita dal vincolo matrimoniale, dal momento che le cosiddette "famiglie di fatto" non godono, almeno al momento, di alcuna tutela) e ascrivendo allo Stato il compito di sostenerla con misure economiche e altri di tipi di provvedimenti, soprattutto in relazione alla funzione di Cura, socializzazione e educazione che svolge nei confronti dei figli (artt. 29, 30 e 31).

Ma la centralità della famiglia è sottolineata anche dal principio di sussidiarietà prima menzionato: il nucleo familiare, infatti, costituisce in modo eminente uno di quei "corpi intermedi" tra l'individuo e lo Stato che, se da un lato rivendica spazi autonomi di esistenza e di azione, dall'altro richiede di essere sostenuto quando non è in grado di portare a compimento le proprie funzioni. In altre parole: le politiche di sostegno nei confronti della famiglia sono necessarie in quanto, di fatto, essa "sgrava" lo Stato di compiti che esso non potrebbe svolgere se non con un notevole dispendio di risorse (pensiamo, ad esempio, alla cura delle persone anziane, malate o disabili, di cui spesso è la famiglia a farsi carico). Tutti gli interventi predisposti dallo Stato o dagli Enti locali in favore delle famiglie sono detti "politiche per la famiglia" e possono andare in diverse direzioni. Le principali forme di sostegno sono:

  • misure di tipo economico, come l'erogazione diretta di contributi in denaro o le agevolazioni fiscali per i nuclei familiari numerosi o con soggetti non autosufficienti; provvedimenti legislativi a sostegno della maternità e dell'infanzia, come le norme volte a garantire per le madri e i padri la conciliabilità tra la vita professionale e quella familiare;
  • la creazione di strutture che rispondano alle esigenze concrete della vita familiare e ai bisogni dei suoi membri, come asili-nido, ludoteche, centri diurni per disabili o anziani;
  • l'istituzione di servizi di aiuto e supporto alla gestione dei conflitti e delle situazioni di disagio vissute dal nucleo familiare, come i centri di consulenza psicologica e legale, le attività di mediazione per le coppie in fase di separazione o divorzio ecc.

In Europa sono stati soprattutto i paesi scandinavi e quelli francofoni (Francia, Belgio, Lussemburgo) ad attivare innovative politiche di sostegno al nucleo familiare, volte soprattutto a supportare con adeguati servizi le madri impegnate in un lavoro fuori casa e (nel caso della Francia) a contrastare il calo della natalità.

Nel nostro paese, malgrado, da una parte, il riconoscimento accordato dalla legge alla famiglia e, dall'altra, la centralità di cui storicamente tale istituzione ha goduto nella nostra tradizione, raramente la famiglia è stata intesa come soggetto su cui investire La consapevolezza di questa lacuna ha contribuito a stimolare, negli ultimi anni, una rinnovata sensibilità verso le misure necessarie per colmarla: ne è un segnale la creazione, nei più recenti Governi, di Ministeri o Dipartimenti delle Politiche per la famiglia, con il compito di elaborare un quadro organico di progetti, a breve e lungo termine, a servizio dell'istituzione familiare.


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